con Nessun commento

Nell’ambito delle iniziative della rassegna “Donne di parola” arriva al Centro Culturale Valmaggi, grazie in particolare al lavoro dell’associazione Karama, una mostra fotografica di Renato Ferrantini a cura di Stefano Corso. La presentiamo con le parole del curatore della mostra:

“I luoghi sono fatti di persone, le persone della loro cultura e del territorio dove sono cresciute e a cui appartengono. Ma se il territorio dove vivi non è il tuo e non ti appartiene, cosa sei? Puoi studiare quanto vuoi, documentarti, relazionarti con chi un luogo l’ha visto, ma finché non lo affronti in prima persona, parli con chi ci vive ogni giorno, ne respiri gli odori e tocchi la terra con le dita, lo osservi tramite una macchina fotografica, compiendo quella sintesi unica che solo la fotografia può restituire tra concetto, emblema e percezione, non puoi dire di aver tentato di comprenderlo e interpretarlo veramente.
Se poi quel luogo è un non luogo, in cui una popolazione nomade è relegata in una terra non veramente sua ai confini della propria reale appartenenza, dalla quale si sente naturalmente attratta ma idealmente e soprattutto fisicamente respinta da un muro e da altri essere umani, tutto diventa ancora più complicato per il narratore.
Fotografare vuol dire ascoltare prima di tutto con gli occhi, empatizzare con il proprio oggetto di analisi proprio per comprendere e raccontare prima a sé stessi e poi agli altri la propria percezione del reale.
Quando Renato Ferrantini mi ha mostrato per la prima volta le foto fatte nei campi in cui è relegato il popolo Saharawi, le mie conoscenze sulla questione erano limitate. Sapevo collocarla geograficamente, conoscevo i soggetti coinvolti e le frizioni presenti ma, come spesso capita nelle nostre vite, tutto è apparentemente distante e lontano se non ci coinvolge direttamente.

Saharawi, gli effetti della decolonizzazione dell’ultima colonia africana, il Sahara Occidentale, dopo quasi 50 anni dalla fine della presenza spagnola sono drammaticamente davanti ai nostri occhi. Una popolazione spinta fuori dai propri confini, in attesa di un referendum promesso e mai realizzato, in bilico continuo tra lotta armata e rassegnazione, costretta da un muro di 2000 chilometri, come tanti di quelli costruiti nell’ultimo secolo, in cui la separazione diventa aspirazione mista a frustrazione. Una necessità vitale in un luogo di vita sospesa.
Osservando le foto di Renato si percepiscono i colori, gli odori, i disagi, i sogni e la vita di chi abita un luogo in modo stanziale con una cultura storicamente nomade. Avvicinare e sensibilizzare rispetto a una questione complessa e consolidata si può compiere anche attraverso un occhio delicato e sensibile, che non maschera il disagio, ma coglie la sua rappresentazione di
reazione a questo.
Un bambino che non ha mai visto il mare e non conosce i suoi profumi, gioca con un delfino simbolo di libertà e indipendenza. Un appuntamento giocoso di due bambini tra i resti di una carcassa di automobile si trasforma in un paradossale incontro galante tra due aspiranti adulti. Volti antichi che hanno visto il proprio passato si confrontano con volti giovani che non hanno idea del proprio futuro. Un tragico testimone consegnato tra due generazioni anche attraverso una lingua, lo spagnolo, che non appartiene più a nessuno. La fierezza di un popolo si restituisce anche attraverso i suoi sguardi e soprattutto i suoi sorrisi. Il dolore non è camuffato ma mediato dal vivere quotidiano.
Il merito del lavoro di Ferrantini, oltre alla potente suggestione presente nelle sue foto, è quello di mostrare umanità, dignità e speranza agli occhi di chi quei posti non solo non li ha mai visti ma forse li anche ignorati, fornendo uno stimolo ad approfondire, conoscere e indagare.
Dice José Saramago che “il deserto non è quello che normalmente si crede, deserto è tutto quanto sia privo di uomini, anche se non dobbiamo dimenticare che non è raro trovare deserti e aridità mortali tra le folle”.
Sognare che un deserto possa riempire di vita altri deserti è in fondo così strano?
Stefano Corso, marzo 2023″